OMELIA XVI CENTENARIO MORTE SAN GIROLAMO

OMELIA XVI CENTENARIO MORTE SAN GIROLAMO

Chiesa di san Girolamo dei Croati, 30 settembre 2020

Card. Pietro Parolin

Cari Rettore e confratelli nel sacerdozio,

Signor Ambasciatore della Croazia,

Signori Ambasciatori,

Sorelle e fratelli,

vi saluto cordialmente in questo giorno di festa. Mentre porto vivo in me il ricordo grato e bello della recente visita in Croazia, sono lieto di presiedere l’Eucaristia in occasione del XVI centenario della morte di San Girolamo, in questa chiesa a lui intitolata, poche ore dopo che il Santo Padre ci ha donato la Lettera apostolica Scripturae Sacrae affectus, dedicata al grande Padre e Dottore della Chiesa. Essa inizia così: «Un affetto per la Sacra Scrittura, un amore vivo e soave per la Parola di Dio scritta è l’eredità che San Girolamo ha lasciato alla Chiesa attraverso la sua vita e le sue opere».

Vita e opere che nei secoli sono diventate familiari al Popolo di Dio non solo mediante la lettura, ma anche attraverso l’arte. San Girolamo ha infatti affascinato numerosi e celebri artisti, che hanno trasmesso al popolo cristiano le sue “tinte spirituali” essenziali.

1. Alcuni, come il Dürer, il Domenichino e Antonello da Messina, lo hanno rappresentato in mezzo a testi e rotoli, intento allo studio meticoloso e alla scrittura. É il tratto più noto, che ha attraversato la vita intera del santo.

Nato a Stridone, i genitori lo iniziarono presto agli studi di grammatica, ma egli fu attratto soprattutto dalla retorica, che era di primaria importanza per un uomo di cultura e avrebbe potuto aprirgli la prestigiosa via della magistratura. La retorica risulterà poi indispensabile per il suo stile esegetico, per gli scritti agiografici e per quelli polemici. Possiamo vedere in questo il finale del Vangelo ascoltato: Girolamo è lo «scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (Mt 13,52).

Ma ciò non avvenne senza fatiche e lotte interiori. Non fu facile passare dal gusto per i classici alla lettura degli autori sacri, da lui ritenuti di lingua disadorna. È celebre il sogno che Girolamo raccontò in una lettera: posto alla presenza del Giudice dell’umanità e interrogato sulla sua condizione, rispose di essere cristiano. «Ma colui che presiedeva soggiunse: “Tu menti! Sei ciceroniano, non cristiano”» (Epist. 22,30). Ne seguì un radicale cambio di prospettiva, per cui l’amore al Signore divenne accoglienza piena della sua Parola, assimilazione del suo stile.

Potremmo riferire alla Sacra Scrittura alcune parole del libro della Sapienza che abbiamo ascoltato e metterle sulle labbra di Girolamo: «L’amai più della salute e della bellezza, ho preferito avere lei piuttosto che la luce, perché lo splendore che viene da lei non tramonta» (Sap 7,10).

(Il Santo Dottore coniugò così le sue capacità investigative e metodologiche con un amore che non era tanto animato dal senso del sacro, quanto da una vera e propria passione per il Signore. Pervaso da uno zelo spirituale che animava la ricerca intellettuale, si recò ad Antiochia e a Costantinopoli, dove sotto l’influsso di San Gregorio Nazianzeno si mise a tradurre Origene. Ma fu a Roma, al servizio di Papa Damaso, che cominciò a dedicarsi compiutamente alle traduzioni dei testi sacri e dei Padri.

Cari alunni di questo Collegio, quante motivazioni potete attingere da ciò per i vostri anni di studio nell’Urbe! Papa Francesco, nella citata Lettera apostolica, sottolinea il forte legame di San Girolamo con la città di Roma e con il ministero petrino. Affetto, servizio, dedizione, insieme al timore di non farcela, a prove e incomprensioni, contraddistinsero – lo racconta egli stesso – quel periodo di semina, che avrebbe dato, negli anni a venire, il raccolto abbondante della Vulgata. Voi, che in questo tempio avete davanti agli occhi l’ordinazione presbiterale di san Girolamo, possiate portarne nel cuore soprattutto lo zelo sacerdotale. E quando, alzando lo sguardo, lo vedete accedere alla gloria senza staccarsi dalle sacre pagine, pensate rivolta anche a voi la chiamata a non ignorare mai Cristo nella Bibbia, tesoro che siete chiamati a scoprire per condividerlo generosamente con quanti Dio metterà sul vostro cammino).

Il Papa oggi ci ricorda quant’è importante «la lettura orante della Bibbia e la familiarità con la Parola di Dio»: solo con essa, infatti, «ogni altra manifestazione di religiosità sarà arricchita di senso, sarà guidata nella gerarchia di valori e sarà indirizzata a ciò che costituisce il vertice della fede: l’adesione piena al mistero di Cristo» (Lett. apost. cit.).

La Scrittura produsse in Girolamo proprio l’effetto di assimilarlo intimamente al Dio incarnato: adornò di semplicità la sua conoscenza; rese più servizievole la sua vivacità caratteriale; operò in lui una splendida sintesi tra il vecchio e il nuovo. Rinunciò a Cicerone, ma non ne dismise gli strumenti; accolse Cristo, ma senza integralismi dialettici. Perché in Gesù la tradizione biblica si è adempiuta nella novità del Regno, la legge nello Spirito, Dio nell’uomo.

La buona novella ha sempre e ovunque la forza mite di rinnovare dal di dentro le cose. Ne hanno bisogno anche le nostre tradizioni più care e più sacre che, se non attingono perennemente al Vangelo, rischiano di renderci scribi del sacro anziché annunciatori del Regno.

Anche oggi, infatti, come in ogni tempo, c’è il rischio di appoggiarsi, sia nella vita personale che in quella ecclesiale, più su criteri e opportunità affini al pensiero del mondo che sulla Pasqua del Signore. La Parola di Dio è fondamentale per non cedere a tali tentazioni e custodire la novità di Dio tra le logiche vecchie del mondo. É essenziale per l’evangelizzazione, perché la freschezza rinnovatrice della fede non venga contaminata da tradizionalismi e progressismi di sorta. Papa Francesco, esattamente un anno fa, scrisse: «Chi si nutre ogni giorno della Parola di Dio si fa, come Gesù, contemporaneo delle persone che incontra; non è tentato di cadere in nostalgie sterili per il passato, né in utopie disincarnate verso il futuro» (Lett. apost. Aperuit illis, 12).

2. Facciamoci aiutare ancora dall’arte per toccare un secondo aspetto riguardante la figura di san Girolamo. Molti, tra cui Leonardo da Vinci e Tiziano, lo hanno rappresentato nelle vesti di un monaco emaciato dal digiuno, mentre in luoghi deserti contempla il Crocifisso con un sasso in mano, a significarne la condotta penitente. Fu a Treviri, ricca città della corte imperiale, che Girolamo conobbe il monachesimo egiziano frequentando Sant’Atanasio di Alessandria, che lì era stato esiliato. Appassionatosene, si recò ad Aquileia dove c’era una comunità di asceti colti, per poi ritirarsi nel deserto della Calcide dove, pur tormentato da vari malanni, visse in rigorosa penitenza. Dopo un’esperienza nel deserto egiziano, fu a Roma che si dedicò alla vita cenobitica, diventandone organizzatore e direttore spirituale. L’epilogo della vita lo vide ancora monaco a Betlemme.

La Parola di Dio nella vita monastica agisce, in particolare, come spada tagliente che discerne i sentimenti e i pensieri del cuore (cfr Eb 4,12). È un aspetto che può trovare riscontro nel Vangelo odierno: «Il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi» (Mt 13,47-48). Pesci buoni e cattivi, bene e male coesistono finché c’è il mondo, ma anche finché dura la vita di ciascuno. Il nostro cuore è infatti simile a una rete nella quale, specialmente nel mondo complesso e interconnesso d’oggi, si infilano e coabitano elementi buoni e cattivi. Occorre dunque, come suggerisce il testo, «sedersi a riva», cioè mettersi in disparte, in silenzio, per raccogliere il bene e scartare il male. È un’opera di continuo discernimento, di lotta aperta alle falsità che ci portiamo dentro, di costante purificazione delle intenzioni. Girolamo la perseguì ovunque si trovò. È per voi una grande occasione, in questi anni romani, acquisire solidi fondamenti nell’arte somma del discernimento degli spiriti.

Il nostro Padre della Chiesa, rivolgendosi agli adulti appena battezzati, disse: «Voi che vi siete rivestiti di Cristo e mediante la parola di Dio siete stati tratti come pesciolini all’amo fuori dei gorghi di questo mondo, dite: “In noi è mutata la natura delle cose”. Infatti i pesci, che sono estratti dal mare, muoiono. Gli apostoli invece ci hanno estratti dal mare di questo mondo e ci hanno pescati perché da morti fossimo vivificati» (Omelia ai Neofiti sul Salmo 41).

In queste parole la Sacra Scrittura è paragonata a un amo, che fa passare non i pesci dalla vita alla morte, ma gli uomini dalla morte alla vita. Ciò che infatti al mondo sembra vita per il battezzato è spesso morte, mentre ciò che appare morte è vita nuova. Ma il punto è che, per Girolamo, il criterio di discernimento è l’amo della Parola: la Parola di Dio pregata nello Spirito Santo setaccia le nostre profondità, ci estrae dalle paludi dei vizi e ci ispira passi di vita nuova.

3. C’è un’ultima raffigurazione di Girolamo, che vorrei portare alla vostra attenzione. È l’immagine forse più popolare del santo, presente anche in questa chiesa. Lo ritrae con accovacciato ai piedi un leone ammansito. La tradizione, legata alla Legenda aurea, narra che il felino si sarebbe trascinato zoppicante fino al monastero dove risiedeva il santo, il quale, nonostante il dissenso dei confratelli timorosi, volle accogliere l’animale, al quale si scoprì poi che i rovi avevano dilaniato le piante delle zampe, e lo fece curare. Dopo ciò, il feroce felino divenne mansueto custode della comunità. Ma un giorno fu accusato di averne divorato l’asino, che era stato invece rubato. Il leone, trovati i ladri, li mise in fuga e riportò in convento non solo la bestia da soma, ma anche i loro cammelli con le mercanzie, inducendo i malfattori a recarsi al monastero per chiedere sia la restituzione dei beni, sia il perdono, che Girolamo accordò. La leggenda insegna insomma che la mansuetudine e la misericordia possono ottenere, anche nei riguardi di chi è feroce o di chi è disonesto, e nonostante le paure e le false accuse, i beni del ravvedimento e della conversione. Fu lo stesso Girolamo a scrivere che i leoni, in fondo, sono capaci di potenti ruggiti ma anche di lacrime (cfr Vita Sancti Pauli Primi Eremitae 16,2).

Egli si pose altresì questa domanda: «Su chi si riposa il Signore se non sugli umili?» (Epist. 14,9). Non è facile rimanere umili e mansueti, rigettando nelle situazioni della vita quei mezzi che non vanno nella direzione dell’amore umile insegnatoci da Gesù. Ma è fondamentale, perché segna la vera differenza cristiana nei riguardi del mondo. Occorre però ricordarci, sull’esempio di san Girolamo, che per ammansire i leoni che ci circondano, occorre prima addomesticare quelli che si trovano dentro di noi. Allora, capaci di compassione, misericordia e accoglienza, si annuncia l’amore di Gesù con la vita e non solo a parole.

(Nell’odierna Lettera apostolica il Santo Padre paragona tali virtù allo stile del traduttore, che ha alla radice la buona volontà di accogliere in sé il mondo degli altri, con mente e cuore aperti: «Senza traduzione, in effetti, non si dà ospitalità, e anzi si rafforzano le pratiche di ostilità. Il traduttore è un costruttore di ponti» (cit.)).

San Girolamo concluse la vita a Betlemme, nei pressi della grotta della Natività. Finì dove tutto era incominciato. Là, dove la Parola incarnata era venuta alla luce, compose la Vulgata nell’oscurità di una cella. L’ultimo invito che ci può spiritualmente rivolgere è quello di ritornare a Betlemme, dove si riassume quello che abbiamo meditato.

Betlemme significa non stancarsi mai di andare alle fonti, di ricercare nella Scrittura il rapporto intimo con il Signore, perché la sua Parola s’incarni nelle nostre vite. Betlemme, con la sua povertà che tocca il cuore, significa poi trovare il coraggio del discernimento, per distinguere dentro di noi la semplicità di Dio dalle trame tortuose del male. Betlemme significa, infine, riscoprire, nel segno del Dio con noi, l’accoglienza mite nei riguardi degli altri.

Vi auguro, in conclusione, di provare quanto san Girolamo una volta disse: «Felice chi ha Betlemme nel suo cuore», felice colui «nel cui cuore Cristo nasce ogni giorno!» (Omelia sul Salmo 95).

Così sia.