Msgr. Tomo Vukšić presentazione del volume “Testimoni della fede”

TESTIMONI DELLA FEDE E DELL’AMORE CONTRO L’ODIO DI CLASSE COMUNISTA

Testimoni della fede

Esperienze personali e collettive dei cattolici in Europa centro-orientale sotto il regime comunista

Jan Mikrut (a cura di), Gabrielli editori, Verona 2017.

Ci troviamo oggi nella situazione di presentare il secondo volume della serie che umilmente intende ai lettori di lingua italiana illustrare non tanto le sofferenze dei fedeli cattolici in Europa centro-orinatale, quanto la loro fedeltà al Cristo e alla sua Chiesa, durante le persecuzioni sotto i regimi comunisti nel ventesimo secolo. Proprio questa loro fedeltà e testimonianza di fede, se visti dall’ottica cristiana, li accomuna sotto la denominazione “Testimoni della fede”, che è titolo del presente volume. La loro fedeltà era frutto della fede vissuta e le loro sofferenze erano prodotto e conseguenza dell’ideologia dell’odio di classe, che storicamente si è realizzata nel potere disumano dei regimi comunisti i quali, secondo diverse fonti, durante il ventesimo secolo hanno ucciso cca 100 milioni di persone, tra cui molti cattolici.

Per illustrare la grandezza di questo crimine sia menzionato soltanto il piccolo territorio della Bosnia ed Erzegovina. Ivi, durante la seconda guerra mondiale e nell’immediato dopo, dal 1941 al 1952, come vittime dirette e indirette degli avvenimenti bellici e delle persecuzioni comuniste del dopo guerra, sono morti 161 sacerdoti cattolici.

Nello stesso periodo, hanno perso la vita 55 fratelli laici, chierici e seminaristi. Sono state uccise anche nove suore. Così in tale periodo hanno perso la vita in modo tragico 225 persone ecclesiastiche. Tra di loro, in modo diretto o indiretto hanno perso la vita per causa dei comunisti 181 persone, vale a dire l’81,05%.

In questo periodo furono uccisi anche moltissimi fedeli laici – soldati e civili. Il loro numero preciso ancora non si sa, però è in corso in tutte le diocesi in Croazia e in Bosnia ed Erzegovina la registrazione di tutte le vittime, portato avanti dalla comune “Commissione della Conferenza episcopale croata e della Conferenza episcopale di Bosnia ed Erzegovina per il martirologio croato”.

Esistono dei dati e delle testimonianze attendibili che molte persone hanno perso la vita come dei veri martiri, ma, fino ad ora, in queste due conferenze episcopali, sono portati a termine i processi di beatificazione per le 5 suore “Martiri di Drina”, per il cardinale Alojzije Stepinac e sacerdote Miroslav Bulešić.

Nel periodo dopo la guerra continuava la persecuzione della Chiesa: furono proibiti la stampa cattolica e l’insegnamento della religione nelle scuole, le associazioni dei fedeli furono sciolte, i beni della Chiesa maggiormente furono nazionalizzati, i seminari chiusi, molti sacerdoti ingiustamente processati e condannati. A cavaliere tra il 1949 e i1 1950, come conseguenza di queste persecuzioni, nell’intera BE non c’era alcun vescovo in funzione perché l’unico rimasto era in carcere.

Negli anni sessanta la situazione della Chiesa iniziava lentamente a migliorare. Il numero dei sacerdoti, religiosi e religiose cresceva. I vescovi potevano partecipare al Concilio Vaticano Secondo. Dopo il Concilio timidamente rinasceva la stampa cattolica e i fedeli cattolici, grazie al lavoro all’estero, crescevano economicamente.

Come esempio di una incredibile sfacciataggine, sia ricordato, che il giorno dell’uccisione del sacerdote Maksimilijan Nestor, massacrato il 27 luglio 1941 insieme ad un gruppo dei pellegrini, nel periodo comunista era celebrato come festa statale dell’insurrezione contro il fascismo.

Fino al crollo dei regimi comunisti, il tema delle loro vittime era severamente proibito e ogni menzione radicalmente punita dagli esponenti dello stesso potere. La memoria di loro più spesso sopravviveva gelosamente custodita nelle catacombe dei ricordi segreti e silenziosi. Successivamente, dopo l’istaurazione della democrazia, nelle Chiese di origine, a partire dagli anni Novanta, sono apparse diverse pubblicazioni, dedicate a queste vittime e alla loro testimonianza di fede. E con le pubblicazioni in altre lingue, come lo è questa che stiamo presentando, i detti testimoni vengono ritrovati, pubblicamente presentati e scoperti anche in Occidente che ha avuto la fortuna di non dover sperimentare questo modo della persecuzione totalitarista.

Scoprirli e presentarli era anche un nostro grande obbligo morale, perché dimenticarli sarebbe un peccato imperdonabile. Infatti, ogni Chiesa se fosse caduta davanti alla tentazione di dimenticare i propri testimoni di fede ed gli eventuali eroi della santità, si sarebbe in anticipo autocondannata ad essere spiritualmente una Chiesa piccola.

E poi, questo tipo degli studi è anche una risposta alle parole di san Giovanni Paolo II, anche lui stesso in un certo senso vittima del regime comunista, che scrisse: “Nel nostro secolo sono ritornati i martiri, spesso sconosciuti, quasi ‘militi ignoti’ della grande causa di Dio. Per quanto è possibile non devono andare perdute nella Chiesa le loro testimonianze” (Tertio millennio adveniente, nr. 37).

Storicamente, l’impresa che stiamo facendo accade nella ricorrenza del centenario della rivoluzione di ottobre. Essa, ideologicamente basata sull’odio di classe, finì con l’istaurazione del regime comunista in Russia e segnò l’inizio d’esportazione della stessa ideologia. In diversi paesi dell’Europa centro-orientale, alla fine della Seconda guerra mondiale, questo processo terminò con l’istaurazione successiva dei regimi comunisti, fabbriche di tanto odio, tante morti e sofferenze. Così, la sconfitta del fascismo e nazismo, e della loro ideologia dell’odio di razza, non si trasformò in una liberazione di questi paesi, ma vide una loro caduta sotto il giogo dell’ideologia dell’odio di classe. Cioè, in un novo feroce totalitarismo, in cui la religione fu definita “l’oppio per il popolo”, la nuova classe al potere, di conseguenza, la trattava come se fosse un veleno da eliminare o una droga da sradicare. Così, un sistema di vero e generale odium fidei fu istaurato e praticato dagli stessi regimi.

Quando ci occupiamo dei temi del genere, e soprattutto nello sforzo di cercare tra tanti testimoni di fede dei concreti casi di santità e martirio, è da evitare il pericolo di produrre un nuovo odio, quello verso i persecutori, perché sarebbe cristianamente inaccettabile e sicuramente contro l’amor fidei dei testimoni, dei santi già canonizzati, come pure di quelli ancora da scoprire e canonicamente verificare.

Il compito principale delle intere società in Europa centro-orientale perciò è la necessità della purificazione della memoria, basata sull’esempio dei santi, e la liberazione spirituale delle anime. Questo non è un invito all’oblio delle sofferenze e delle vittime, e neanche dei persecutori, ma è un comune obbligo morale per prevenire l’eventuale ripristino del male, per evitare la possibilità che il rancore abbia l’ultima parola, per istaurare un sano equilibrio tra la tradizione della riconciliazione e la tradizione del potere, tutto in funzione del rispetto della volontà di Dio e della dignità della persona umana sulla via della sequela dell’esempio di Cristo.

Diversi tra i detti testimoni della fede sono già beatificati e canonizzati come martiri (p. es. i 25 martiri in Ucraina; i 38 martiri in Albania; le 5 martiri religiose di Drina in BiH; diversi gruppi dei martiri di Spagna; singoli vescovi, sacerdoti, religiosi, laici). Sono trovati tali, grazie alla provata sensibilità e genuino spirito religioso che ha guidato le loro Chiese di origine e la Congregazione per le cause dei santi. Ne è la prova anche l’odierna presenza attiva del suo prefetto, sua eminenza il cardinale Angelo Amato, a cui siamo profondamente grati. La presenza del Prefetto è un messaggio molto lampante: riconoscimento alle vittime e incoraggiamento a tutti, che non le hanno dimenticate, per continuare la ricerca della verità e degli argomenti che potessero provare la loro santità e martirio.

Eminenza, per l’intercessione di tutti i martiri, Dio benedica la Sua opera e tutta la Congregazione che Ella guida!

Il martire cristiano è un credente completo, un cristiano pienamente riuscito, perché nella sua fedeltà ha seguito l’esempio dell’amore del Cristo crocifisso, ha vissuto l’amore fino alla prova estrema. È proprio l’amor fidei che lo rende martire. Ovvero, come scrisse sant’Agostino: Martyres non facit poena, sed causa (PL 36,340).

Poi, l’argomento ulteriore in sostegno della promozione ecclesiale di tutti questi testimoni di fede consiste nel bisogno di scoprire ed avere degli esempi di fede vissuta in loco, che incoraggino le nuove generazioni dei cristiani nella loro missione di testimonianza. Cioè, pur nella venerazione dei santi della Chiesa universale, per un cristiano è importante venerare anche i martiri locali. A suo tempo lo ha saggiamente spiegato san Massimo di Torino (†420 cca): “Mentre (…) dobbiamo celebrare con grande devozione il natale di tutti i santi martiri, dobbiamo tuttavia con maggiore venerazione curare la solennità di quelli che hanno sparso il loro sangue tra le nostre case. Perché, se certamente tutti i santi sono ovunque presenti e a tutti giovano, quelli però che hanno sofferto il supplizio per noi sono speciali intercessori cui affidarsi.

Il martire, (…) con il suo patire vince per sé il premio e ai concittadini offre l’esempio, per sé ottiene il riposo, per i concittadini la salvezza. (…)

Perciò il Signore ha voluto che in diversi luoghi e per tutto il mondo ci fossero dei martiri, come testimoni ancora in un certo modo presenti, perché ci spronassero con l’esempio della loro professione di fede. (…)

Pertanto, fratelli, veneriamo i martiri delle nostre città in questo mondo, onde averli come difensori nell’altro. In nulla infatti potremo venire separati da loro, se staremo vicini ad essi nella pietà, così come le loro ossa sono materialmente presenti tra noi” (PL 57,427-428).

Il messaggio della loro testimonianza è importante anche per il nostro mondo pluralista perché, dopo gli idoli totalitari del fascismo, nazismo e comunismo, la verità divina oggi deve essere proposta contro l’idolo del relativismo. Non raramente in esso Iddio viene dimenticato. Ciò comporta una tacita apostasia, che si manifesta nella negazione della verità obiettiva e che, come l’unico valore positivo, promuove la tolleranza, il dialogo e la libertà. In misura, in cui è ospitato tra i cristiani, il relativismo si trasforma nella revoca della cristologia, nella riduzione della Chiesa al livello di un’organizzazione umanitaria e del custode del proprio passato culturale, nell’indebolimento della coscienza missionaria ed evangelizzatrice, nella diminuzione della pastorale sacramentaria, nell’educazione prevalentemente intellettuale dei sacerdoti e la loro attività nella comunità, nella negazione del diritto naturale, nell’opposizione al magistero della Chiesa e nella promozione della cosiddetta coscienza autonoma.

A tal proposito citerei qui soltanto un brano della lettera con cui un padre di famiglia, prima di essere giustiziato, per l’ultima volta si rivolgeva alla propria moglie. Scrisse: “Cara mia Anka! Questa è l’ultima lettera triste che ti scrivo, pieno di amore per te, pieno di fede in Dio, pieno di amore per la cara patria Croazia, giusto, di animo pulito e orgoglioso nello spirito di aver fatto il bene nel mondo. Sono cosciente che a Trebinje oggi vivono almeno 100 persone che mi sono debitrici della loro vita. Pronto davanti a Dio, con l’animo e il corpo pulito, spero di passare ad un mondo migliore dove non c’è né dolore né sofferenza, dove non c’è né malvagità né perfidia… Non ti rattristare. Il calice è amaro, ma si deve bere. Anche Gesù è stato martire, molti santi sono martiri. Migliaia e migliaia conosciuti e sconosciuti sono caduti per Dio e per la Croazia. Tu unisciti alle loro vedove e ti sarà più facile”. (Alla moglie Anka: Jure Kežić, Opuzen in Croazia, ucciso nel 1944 a Trebinje in Bosnia ed Erzegovina.)

Sono molti altri esempi, raccontati anche essi in questo volume, nei quali, per imitazioni di Cristo, devictus vincit (il vinto vince). Essi ispirano pure quelli che non sono credenti. Sono un grande tesoro della cristianità, bellezza del volto di Cristo mistico, ispirazione alle membra del suo corpo ecclesiastico e invito rivolto al mondo intero alla bontà. Questo messaggio dei testimoni e dei martiri cristiani, privo di ogni odio e di qualsiasi fanatismo, conformandosi all’esempio di Cristo, propone l’amore e l’armonia sociale. Proprio in esso si riconosce la sua differenza specifica da tutte le proposte non-cristiane del “martirio”, spesso anche violento, che lo rende molto importante e costruttivo nel contemporaneo mondo pluralista.

In conclusione: La vera ed autentica storia della Chiesa è la storia delle testimonianze di fede. Prima di tutto sono quelle che, sacrificando anche la propria vita per amore, si sono realizzate nella santità. Il resto, che non è testimonianza nella Chiesa, se visto da questo punto di vista, in un certo senso infatti è una sua anti-storia. Rebus sic stantibus, gli autori dei 63 contributi di questo volume si sono aggiunti all’elenco dei più autentici storiografi della Chiesa, perché hanno scelto la sua parte migliore (cf. Lc 10,42).

Pontificia università Gregoriana – Facoltà di storia e beni culturali della Chiesa;

Roma, l’8 marzo 2017

Don Tomo Vukšić

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