Letture liturgiche: Is 52, 7-10; Ef 3, 14-19; Mc 16, 15-20
Venerati fratelli Cardinali, Vescovi, Presbiteri e Diaconi,
cari religiosi e religiose,
fratelli e sorelle in Cristo!
1. Nel brano del Vangelo di oggi, abbiamo sentito le parole di Gesù: „Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura“ (Mc 16,15). Questo è stato l’invito che hanno ascoltato anche i santi Cirillo e Metodio, a cui hanno risposto con grande fervore.
Grazie alla loro predicazione e alla loro testimonianza ci troviamo riuniti quest’oggi in questa celebrazione. Possiamo dire che la chiamata a loro indirizzata ha avuto un eco fortissimo, che tradotto in rendimento di grazie si può esprimere con le parole: Venite da tutto il mondo per raccontare cosa ha fatto la Parola di Dio tramite gli uomini che l’hanno accolta; tramite i santi che parlano la lingua dello Spirito.
La parola di Dio, annunciataci stasera nel Vangelo di Marco fa parte del mistero dell’Ascensione del Signore e della missione universale da Lui affidataci. In quel contesto si vede il punto d’arrivo della vita di Gesù e il punto di partenza della vita della Chiesa. Infatti, la missione della Chiesa ha la sua motivazione ultima e la sua legge propria nella glorificazione di Gesù.
2. Oggi davanti a noi risplende questa Basilica di San Clemente, nella quale siamo giunti come pellegrini per contemplare la forza dell’amore divino in mezzo agli uomini. Qui ci incontriamo con il mistero della vita e della missione dei Santi Cirillo e Metodio. Lo richiamano questo spazio liturgico meraviglioso e specialmente la rappresentazione della croce nell’abside che attira i nostri occhi e guida i nostri cuori nella celebrazione dell’Eucaristia.
La struttura architettonica di questa chiesa, rievocando i contenuti cristiani più importanti e avvalendosi di chiari segni del genio cristiano culturale, parla del mistero di Dio nella storia della Chiesa e degli uomini. I diversi livelli sui quali è costruita la basilica attuale, che vanno dai primi tempi del cristianesimo a Roma fino ad oggi, rivelano nello sviluppo ecclesiale le sovrapposizioni sociali, culturali e religiose, manifestando la crescita che rende visibili le radici e ancora di più i frutti.
Tale ricchezza trova la propria sintesi nella composizione artistica del mosaico absidale. Tutto può essere spiegato tramite l’immagine della radice e dei frutti. Siamo davanti alla croce, che rappresenta l’albero della vita piantato su di un colle che è il paradiso irrigato dai suoi quattro fiumi. Brevemente detto: qui vediamo rappresentata la vitalità della Chiesa, del cristianesimo; vediamo la croce come portatrice della vita in abbondanza, trasmessaci attraverso l’icona biblica della vite e dei tralci. Così è raffigurata l’intera storia della salvezza il cui centro è l’incarnazione del Figlio di Dio e il suo sacrificio redentore sulla croce.
3. Fratelli e sorelle, proveniamo dai popoli che anche negli ultimi decenni hanno sperimentato la verità di quanto dice san Paolo nella lettera agli Efesini su Cristo che abita per la fede nei nostri cuori (cf. Ef 3,17). Coloro che sono radicati e fondati nella carità sono „in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza“(Ef 3, 18-19), per essere „ricolmi di tutta la pienezza di Dio“ (Ef 3,19).
In questa basilica comprendiamo meglio la misura della croce. Le coordinate della vita cristiana sono date dalla croce. Questa è l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità della Chiesa e della vita dei cristiani. Il mistero pasquale è il centro del rapporto tra Cristo ed il creato. Tale mistero si realizza per noi nel sacrificio della Messa offerto sull’altare dove diventa per noi realtà quotidiana.
Ai lati della croce si trovano la Beata Vergine Maria e san Giovanni, mentre sulla croce in modo sorprendente appaiono dodici colombe bianche. Sono il simbolo dei dodici apostoli che hanno portato nel mondo la buona novella.
A loro possiamo aggiungere le colombe dei Santi Cirillo e Metodio.
4. Stasera colgo l’occasione per condividere con voi la gioia di essere qui riuniti per celebrare nella comunione con i santi, ai quali venne annumerato il grande promotore dell’opera evangelizzatrice, culturale e spirituale dei Santi Cirillo e Metodio – papa Giovanni Paolo II, canonizzato l’anno scorso, il 27 aprile 2014. La sua canonizzazione è stata per molti aspetti unica, tra l’altro perché è avvenuta insieme a quella di papa Giovanni XXIII, è stata celebrata da papa Francesco con la concelebrazione del papa emerito, Benedetto XVI.
Cari fratelli e sorelle, con gratitudine per quello che ha fatto come Pontefice per le Chiese nei nostri popoli e per la sensibilizzazione verso le realtà nate dall’opera dei Santi Patroni d’Europa, Cirillo e Metodio, voglio soffermarmi su alcuni pensieri di San Giovanni Paolo II. Egli ha parlato con grande stima e amore degli Apostoli Slavi in varie occasioni durante tutto il suo pontificato. Amava usare alcune immagini tra le quali sono molto eloquenti quelle di: ‘radice’ ed ‘eredità’. Chiamava il servizio apostolico di questi due santi fratelli l’ “eredità vivente“.
Nel Santuario di Velehrad nel 1990 (22 aprile) disse:
„La loro missione fu un’ulteriore continuazione del mandato che aveva avuto origine nel Cenacolo di Gerusalemme, il giorno della Risurrezione. Nella loro missione operava lo stesso Spirito Santo, che gli Apostoli avevano ricevuto dal Signore risorto. Nel servizio apostolico, nel mandato della trasmissione del Vangelo, è all’opera durante tutta la storia, fino ad oggi, il dinamismo della vita nuova che, per raggiungere il cuore di tutti, ha bisogno di essere tradotta in linguaggio comprensibile e facilmente accettabile“.
5. Sappiamo come al Papa slavo erano care ambedue le tradizioni, sia occidentale che orientale, e come pregava e desiderava l’unità della Chiesa. Perciò ha sentito il bisogno di dire le seguenti parole profetiche:
„Queste due immense tradizioni, anche se differenti, s’appartengono vicendevolmente. Formano insieme l’Europa cristiana – del passato e del presente. La storia di questi due fratelli, Cirillo e Metodio, è un esempio eloquente di quest’unità. La testimonianza, che offrirono ai nostri antenati nelle terre slave, è testimonianza della Chiesa indivisa – una, santa, cattolica e apostolica. Essi, greci, cercarono anche a Roma l’appoggio e la conferma della loro missione. Nel nostro tempo, nel tempo dell’Europa divisa, della cristianità divisa, la loro testimonianza costituisce un invito all’unità. Essi appartengono a noi tutti ed hanno un significato ecumenico“ (Omelia nel Santuario di Velehrad, 22 aprile 1990).
Giovanni Paolo II in questa stessa basilica trent’anni fa (15 febbraio 1985) nell’omelia descrisse la situazione dell’epoca dei santi Cirillo e Metodio:
„Verso la metà del IX secolo e nel periodo immediatamente successivo si avvicinava il momento della maturazione politica e culturale della grande compagine dei popoli slavi, il loro ingresso da protagonisti nella convivenza internazionale, nel sistema subentrato all’antico impero romano. Era, purtroppo, anche il momento in cui l’antica civiltà si spezzava e si frantumava, e le tensioni tra Oriente e Occidente si trasformavano in divisioni e, presto, in separazioni. Gli slavi entrarono nella scena del mondo, collocandosi fra queste due parti e, nel tempo successivo, sperimentarono su loro stessi i tragici effetti dello scisma; furono anch’essi divisi, come diviso era allora il mondo europeo […] (Questo) intenso desiderio dell’unione spirituale fra tutti i credenti in Cristo ispirò i due santi fratelli nella loro missione, finalizzata allo scopo di fare dei popoli da loro evangelizzati, nella nascente Europa, un vincolo di unione fra l’Oriente e l’Occidente“.
6. Quest’anno si compiono anche trent’anni dall’Epistola enciclica Slavorum Apostoli (2 giugno 1985), della quale cito solo una frase, importante per noi croati. Il papa Giovanni Paolo II scrive: „Grazie al loro apostolato si consolidò il cristianesimo già da tempo radicato in Croazia“ (SA, n. 24). Di nuovo riecheggia la parola ‘radice’.
Nove anni dopo, durante la prima visita apostolica del papa Wojtyla in Croazia, ricordando l’opera degli Apostoli Slavi, disse: „La loro attività lasciò tracce profonde nella liturgia e nella lingua di alcune zone della Croazia, nelle quali fino a pochi anni or sono la liturgia romana usava la lingua veteroslava“ (Zagreb, 11 settembre 1994).
Si tratta in particolare di diverse regioni della Croazia, dove è rimasta viva l’eredità glagolitica, per mezzo dei libri liturgici, ma anche la liturgia di rito romano, celebrata in lingua paleoslava, che poi fu un importante argomento per la riforma liturgica del Concilio Vaticano II, circa il tema esigente della lingua liturgica.
Mi sia altresì permesso ricordare che dieci giorni fa ricorreva il duecentesimo anniversario della nascita di Josip Juraj Strossmayer, vescovo di Đakovo e Srijem (Osijek 4 febbraio 1815 – Đakovo, 8 aprile 1905), che diede un grande contributo nell’erigere la cappella dei Santi Cirillo e Metodio in questa basilica.
Cari fratelli e sorelle, ognuno di noi, provenienti da diversi popoli e oggi qui riuniti, può far emergere un aspetto particolare della vita di fede del proprio popolo, che è ricchezza per la Chiesa, e nello scambio dei doni, sorgente di nuove iniziative evangelizzatrici.
7. Tornando alle figure del mosaico absidale, sparse nell’abbondanza dei frutti dell’albero della vita, notiamo anche la presenza dei profeti e dei martiri che danno testimonianza alla gloria di Colui che siede sul trono.
Fratelli e sorelle, in ognuna delle nostre Chiese particolari possiamo vedere la vitalità della fede testimoniata dai martiri, di cui la vita e la morte, le parole e le opere hanno un valore profetico. Ognuno di noi faccia memoria di questi nostri fratelli e sorelle che hanno conosciuto Cristo come radice dell’amore verso il prossimo e della vita eterna.
In questo momento penso e prego tutti i santi martiri dei nostri popoli. Penso in modo particolare al Beato Cardinale Alojzije Stepinac, Vescovo e Martire, che come studente a Roma, alunno del Pontificio Collegio Germanico-Ungarico, ha visitato questa basilica di san Clemente, pregando per la propria vocazione e per la missione che lo aspettava, senza sapere che proprio lui sarebbe diventato una vite cresciuta dalla croce per la vitalità della Chiesa nel tempo dei totalitarismi del ventesimo secolo. Con grande speranza preghiamo per la sua canonizzazione e ringraziamo il Signore per le testimonianze di tanti pastori delle nostre Chiese, distintisi nel tempo del comunismo.
8. Fratelli e sorelle, prima di concludere, ci soffermiamo sulle parole con cui san Pietro istruisce san Clemente, parole che riconosciamo dette anche a noi: „Respice promissum, Clemente, a me tibi Christum. – Guarda Clemente il Cristo che ti ho promesso“. Respice promissum.
Il nostro sguardo è lo sguardo della fede, che deve essere tradotto anche oggi, soprattutto in un linguaggio di speranza. Siamo chiamati a portare al mondo lo sguardo della speranza in cui il nostro amore non sembra troppo debole.
Stasera preghiamo per tutti coloro che soffrono nel mondo, invocando l’aiuto di Dio in modo particolare per quelle zone d’Europa, nelle quali gli uomini non hanno dimenticato la Buona Novella, che è stata trasmessa loro in una lingua comprensibile, nella lingua materna, piena di compassione, gioia e sollecitudine. Non possiamo dimenticare l’Ucraina e le sofferenze che sta vivendo a causa di ingiustizie e violenze che distruggono tutti i linguaggi comprensibili.
Preghiamo i Patroni d’Europa, San Cirillo, Monaco e San Metodio, Vescovo, perché ci insegnino a costruire sulle fondamenta del mistero della croce e della risurrezione, per essere nuove radici che danno frutti di eternità. Amen.